Ancora sui Magistrati onorari: quale tutela?
Si è tenuto ieri il Webinar organizzato dall’AGIUS (Associazione Giuristi Siciliani), in collaborazione con l’Associazione Nazionale Forense, su “Magistrati onorari, quale tutela?”, nel quale ha relazionato il Prov. Avv. Sebastiano Bruno Caruso (Prof. Ordinario di Diritto del Lavoro Università di Catania ed alla Luis Guido Carlì di Roma – Direttore del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo Massimo D’Antona – Avvocato Cassazionista).
Di seguito le riflessioni del Prof. Avv. Sebastiano Bruno Caruso:
“Vorrei iniziare questa mia relazione spiegando a chi ci ascolta le ragioni giuridiche alla base di un seminario formativo su una categoria professionale in agitazione; categoria che ha organizzato, a Palermo, voglio ricordarlo, forme di proteste intense che hanno attratto l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale le cui protagoniste sono presenti a questo seminario.
La ragione principale è che il tema della regolamentazione giuridica della magistratura onoraria o “ausiliaria”, come preferisco etichettarla, non costituisce una mera rivendicazione di tutela normativa, professionale, occupazionale e previdenziale; si tratta di una categoria discretamente numerosa (circa 5000 addetti su 8300 posizioni previste in organico) e, voglio ricordarlo, molto professionalizzata. Se si trattasse soltanto di un problema di tutele negate, l’accostamento di attualità che mi viene subito in mente, sarebbe quello riders della c.d. gig economy, di cui in questi giorni abbiamo sentito parlare per la clamorosa indagine della procura di Milano.
Con questo non voglio ovviamente sostenere che una iniziativa come quella della procura di Milano, questa volta contro se stessa o contro i dirigenti degli uffici giudiziari, dovrebbe prendere la procura di Palermo (il reato in questo caso sarebbe, come circola con una battuta, quello del “capolarato di stato”).
Al di là delle facili battute, le differenze di problematiche giuridiche, pur nella assimilazione dei casi, sono chiare.
Nel caso dei riders, ci si trova di fronte a una tipica attività di mezzo tra la subordinazione e l’autonomia, ma nessuno dubita che i lavoratori di Glovo o di Deliveroo, ma anche di Uber, come ci ha detto la Corte suprema inglese qualche giorno fa, siano tali, rivestano cioè pleno iure la condizione di lavoratore.
Nel caso dei lavoratori delle piattaforme tecnologiche il giudice, come ha fatto il Trib. di Palermo qualche mese fa (sent. n. 3570/2020, giud. Paola Marino) deve accertare di che tipo di lavoratore si tratti: subordinato, parasubordinato di tipo eterorganizzato, o autonomo; nel caso del rider palermitano, TUTTOLOMONDO, lo si è considerato lavoratore subordinato.
Ma nessuno si azzarda a escludere, neanche i gestori della Piattaforma, che il rider sia un lavoratore; semmai si fa questione “di chi” sia il datore di lavoro o “se ci sia” un datore di lavoro.
Tutto ciò spiega perché la vicenda dei rider non ha creato particolari sconquassi istituzionali, ma semmai solo inchieste – anche se clamorose – delle procure, dell’Inps e dell’Ispettorato nazionale che hanno escluso la natura autonoma del rapporto di lavoro.
La vicenda dei magistrati ausiliari, che si dichiarano anch’essi sottotutelati, invece ha prodotto, e continua a produrre, fibrillazioni istituzionali, ma non inchieste ispettive di accertamento: e ciò anche perché essa è giuridicamente più complicata da inquadrare.
A mio avviso due sono le ragioni alla base della maggiore complicazione giuridica e delle fibrillazioni istituzionali che la vicenda della magistratura ausiliaria produce.
La prima è che per il magistrato ausiliario non si fa soltanto questione di qualificazione del tipo di rapporto di lavoro, come nel caso dei rider, ma il problema nasce perché si nega, in radice, che essi siano lavoratori, di qualunque tipo e tipologia.
Per cui la domanda di giustizia cambia, e questo cambiamento ha giustificato l’intervento del giudice europeo, della Commissione europea, ma non degli ispettori nazionali: la domanda di giustizia è primariamente rivolta, ancor prima che alla qualificazione del tipo di lavoro (subordinato, parasubordinato o autonomo), al riconoscimento della condizione di lavoratore tout court. E, solo conseguentemente, di lavoratore subordinato presso la pubblica amministrazione (che è pure questo un elemento di diversità e di maggiore complicazione rispetto alla vicenda dei riders).
Quel che l’ordinamento italiano, in entrambe le configurazioni di stato legislatore e stato giudice, nega (o meglio ha negato sino alle prime sentenze dei tribunali di Vicenza e di Napoli), è innanzitutto la condizione di lavoratore del magistrato ausiliario
Ed è proprio questa la seconda complicazione della vicenda della magistratura ausiliaria.
Riconoscere la condizione di lavoratore subordinato al magistrato onorario significa attribuirgli la qualifica di pubblico impiegato con tutto quel che segue in termini di complicazioni istituzionali nel diritto interno.
Tale condizione di lavoratore pubblico, che svolge una funzione giudiziaria ausiliaria, è stata invece affermata, con assoluta tranquillità, dalla corte di giustizia con il primo pronunciamento UX (CUGE seconda sezione , 16 luglio 2020, C-658/18, UX contro Governo italiano).
E’ questo, tuttavia, il punto da cui partire per un corretto inquadramento giuridico della vicenda, malgrado le sottigliezze argomentative per sfuggire al quel pronunciamento, del Consiglio superiore della magistratura che sta istruendo le difese per l’avvocatura dello stato per appellare le prime sentenze di condanna dei giudici interni.
Tale negazione della condizione di lavoratore del magistrato ausiliario – voglio essere netto e preciso in questo – costituisce una tipica, molto italica, ipocrisia istituzionale.
Lo Stato italiano nel tempo (non sto a ripercorrere le tappe storiche e normative che do per conosciute), riconosce, e anzi impone, ma solo in via di fatto e mediante una copiosa regolamentazione amministrativa, la condizione di lavoratore del magistrato ausiliario, detto onorario, a supporto del sistema giudiziario italiano. Ogni Tribunale si regge, come è noto, e come ormai dichiarano espressamente quasi tutti i capi degli uffici giudiziari e delle procure, sul lavoro effettivo dei gdp, dei got e dei vpo; si è visto cosa è successo con la astensione degli scorsi mesi.
E tuttavia lo stesso Stato italiano ( il legislatore e i giudici delle alti Corti sino a prima della Ux) disconoscono che da questa condizione di fatto di lavoratore, pure funzionalmente normata, possa derivarne una qualificazione di lavoratore in senso giuridico formale. Onde il ricorso alla qualificazione della prestazione di lavoro del magistrato non di carriera, come di servizio onorario.
Occorre onestamente riconoscere che questa eccentrica posizione, che, ripeto, legittima l’ipocrisia istituzionale di un lavoro di fatto professionale “ma guai a qualificarlo tale”, ha delle giustificazioni giuridiche.
Sono giustificazioni, discutibili, ma pur sempre tali e di cui dirò brevemente (la tesi che nega ogni possibilità di riconoscere ai magistrati onorari la condizione di lavoratore pubblico richiama, a sostegno, gli articoli 106 e 97 della Costituzione: indivisibilità della carriera della magistratura e accesso alle pubbliche amministrazioni tramite pubblico concorso).
A mio avviso, la persistente qualificazione di “onorario” – che letteralmente significa “carica puramente onorifica che esclude pertanto gli obblighi e i diritti inerenti – nasce in parte da un fraintendimento giuridico, in parte è frutto di pigrizia mentale, in parte si presenta come espressione di quel che gli economisti ad altri scopi, definiscono “dipendenza del percorso” (path dependency).
Mi spiego. Va detto in premessa che contestare la costruzione della figura del magistrato ausiliario, come funzionario onorario, è preliminare a ogni coerente ipotesi di riforma legislativa o di pronuncia giudiziaria.
Secondo la tesi corrente dello Stato italiano, sarebbero come dicevo i richiamati vincoli costituzionali a imporre, per la magistratura ausiliaria, una funzione di fatto professionale ma che non può essere riconosciuta come tale dalla legge, onde il riconoscimento di un mero status di funzionario onorario con al più il diritto a qualche indennizzo.
Ma tale posizione impeditiva lungi dal risolvere i problemi, ha dato luogo a, quel che considero, un vero e proprio ingorgo giuridico istituzionale.
Secondo il legislatore, la Corte di Cassazione, il Consiglio di stato, ma pure la Corte di costituzionale (salva un confusa apertura con la sentenza n. 267/2020, ampliata dalle dichiarazione del presidente Coraggio nella conferenza del dicembre scorso) – pronunciamenti emanati tutti prima della sentenza Ux della Corte di giustizia – la funzione giurisdizionale svolta dal magistrato professionale è unitaria.
Essa, per divieto costituzionale, non può essere frantumata e assegnata, ancorché solo in parte, per le cause di minore importanza, a una categoria distinta da quella della magistratura togata.
Meglio: non lo si può fare espressamente e chiaramente, ma soltanto per via amministrativa o in via di accomodamenti legislativi confusi e ipocriti (ogni riferimento alla legge Orlando è puramente casuale, per non parlare delle proposte peggiorative). E comunque si può investire di funzioni giurisdizionali minori una categoria, ma non sino al punto di riconoscere, formalmente e conseguentemente, la condizione di lavoratore pubblico.
Dove si colloca la fallacia di questo ragionamento.
Lo spiego riportandomi in parte alle motivazioni della sentenza UX e in parte ad argomentazioni contenute, più in dettaglio, in un articolo pubblicato insieme al presidente Minutoli del Trib. di Messina[1] .
Premetto che per arrivare a sostenere la legittimità della condizione di lavoratore pubblico del magistrato ausiliare, non c’era alcun bisogno di scomodare l’ordinamento europeo, bastavano argomenti di diritto interno. Ma tant’è: si è stati costretti a rivolgersi alla Corte di giustizia da quel vero e proprio blocco navale ai confini interni che si era costruito ad opera delle alti corti.
E aggiungo subito che non ci sono vincoli costituzionali per il riconoscimento della condizione di lavoratore subordinato del magistrato ausiliario: si tratta solo di volontà politica e di disponibilità di risorse finanziarie.
Tutto nasce, come dicevo, da un fraintendimento istituzionale, vale a dire l’indebito collegamento, quasi un intreccio, che si continua a fare a nelle commissioni parlamentari che si occupano della riforma, tra regolamentazione della funzione giudiziaria, status giuridico professionale della magistratura togata e rapporto di lavoro del magistrato ausiliario.
Detto altrimenti, si continua a mettere insieme, la carriera professionale della magistratura togata, ampiamente regolata per legge e disposizioni del CSM; lo spicchio di funzioni giurisdizionali che ormai per legge e in via di regolamentazione amministrativa, sono state assegnate, da tempo, alla magistratura non togata, e che ora si vogliono restringere per ostacolare le richieste sulla condizione lavorativa; e il rapporto di lavoro dei magistrati non ausiliari, che è, invece, tutt’ altro problema.
Si tratta, ripeto, di tre dimensioni regolative che si devono, invece, concettualmente e operativamente, tenere distinte e che si pretende di tenere insieme, e ciò produce il caos a cui si sta assistendo.
La confusione scaturisce da un errato ragionamento di questo tipo; ovviamene semplifico: solo i magistrati di carriera possono esercitare professionalmente la funzione giurisdizionale; i magistrati non togati, non possono esercitarla se non in misura minore e di ausilio, ma senza tuttavia condividere lo status, o anche solo in parte, la carriera, del magistrato professionale, e ciò per un duplice divieto costituzionale.
E su questo si può convenire.
Ma si aggiunge – e qui alligna l’errore logico – in ragione di questo vincolo i magistrati non togali, possono svolgere la funzione giurisdizionale solo a titolo onorifico (oggi si riconosce al più a titolo di lavoro libero professionale) e fatte salve alcune indennità per i singoli compiti assegnati, o per il tempo impiegato ovvero per i prodotti (le sentenze) di tale attività.
Sia detto, per inciso, che proprio la regolamentazione dell’attività giurisdizionale o di investigazione penale consentita, anche allo scopo di determinare le indennità, escludendo però la condizione giuridica di lavoratore subordinato, conduce a evidenti disfunzioni e illogicità: faccio riferimento ai caotici e irrisolvibili contorcimenti regolativi sui trattamenti economici e normativi che ridondano anche sull’efficacia della prestazione di servizio, di cui leggiamo nei testi di riforma in Parlamento. Li do per conosciuti. Dico solo che la loro non intellegibilità è tale che troverebbero difficoltà applicative anche consulenti del lavoro esperti.
Non sfuggo però, al punto focale della questione: il vizio logico del ragionamento che ho riportato – e della inettitudine regolativa che ne scaturisce – è di questo tipo: si confonde lo status professionale e la carriera del magistrato togato, necessario allo svolgimento a tutto tondo della funzione giudiziaria, con il rapporto di lavoro del magistrato non togato addetto a una funzione ausiliaria, che è questione giuridica totalmente diversa.
Voglio dire: una cosa è la regolamentazione di una carriera, ovvero di uno status professionale specifico; ben altra la regolamentazione di un rapporto di lavoro con una amministrazione pubblica, vale a dire quel che un tempo, prima della riforma del 1993, si definiva il rapporto di servizio e che oggi, dopo la riforma, si definisce semplicemente contratto di lavoro subordinato con la p.a.
Cosa impedisce, allora, che una funzione giurisdizionale – anche se residuale e minore rispetto a quella del magistrato togato -, venga svolta da un’altra figura che non condivide affatto lo status (la carriera) del magistrato togato, ma che sia comunque considerata pur sempre un lavoratore, impiegato, come tanti altri, dall’amministrazione statale, magari con un contratto di lavoro privatistico con tale amministrazione? Lo impedisce la Costituzione?
Assolutamente no: la Costituzione si limita a prevedere che non ci sia una duplicazione di carriere e di status della magistratura e l’obbligo di assunzione tramite selezione pubblica per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche. La Costituzione non impedisce che a un soggetto vengano assegnate funzioni giurisdizionali ausiliarie e compiti di collaborazione con l’ufficio del magistrato togato. Tale soggetto deve essere debitamente qualificato, formato e, dice la Costituzione, selezionato tramite evidenza pubblica, come prevede l’art. 35 del TUPI (d.lgs. 165/2001) e non necessariamente, quindi, assunto con un concorso pubblico
Nulla impedisce che a tale figura vengano riconosciuti la condizione (e i diritti) di lavoratore pubblico, che è cosa totalmente diversa dallo status di magistrato di carriera. Anzi, mi sento di dire che l’assetto costituzionale vigente va in senso diametralmente opposto alla convinzione impeditiva: la Costituzione prevede un obbligo di riconoscimento della condizione di lavoratore subordinato. La stessa Corte cost. dice che, allorquando un lavoratore opera nella condizione di fatto di lavoratore subordinato, ed è certamente la condizione del magistrato ausiliario, neppure il legislatore può disporre diversamente: non può disporre del tipo legale. Detto brutalmente: la legge non può disporre che chi svolge prestazioni di fatto di lavoro subordinato debba essere soltanto indennizzato e collocato fuori da ogni copertura previdenziale.
Ed è esattamente quello che ci ha mandato a dire la Corte di giustizia con la sentenza Ux, allorché ha stabilito che il giudice di pace, ma a maggior ragione il got e anche il vpo, che svolge, in modo reale ed effettivo funzioni giurisdizionali e di altro tipo ha diritto a essere trattato come un lavoratore subordinato sia dal punto di vista retributivo, sia normativo, sia previdenziale. E ciò anche se svolge la sua prestazione con moduli organizzativi flessibili, secondo lo schema della subordinazione attenuata tipico delle prestazioni intellettuali. E ha aggiunto che per determinare il trattamento retributivo e normativo in concreto, il magistrato ausiliario non deve essere necessariamente inserito nel ruolo e nella carriera del magistrato togato; il giudice che si dovrà occupare della domanda di giustizia del magistrato c.d. onorario dovrà soltanto determinare il compenso assumendo come parametro di riferimento il trattamento specifico e puntale, non la carriera complessiva, del giudice togato.
Tale indicazione della Corte di giustizia è stata prontamente recepita dai Tribunali di Napoli (sent 11 gennaio 2021, n. 6015/2020) e di Vicenza (sent. 29 dicembre 2020, n. 343) che hanno applicato il parametro stipendiale della prima qualificazione di professionalità. Sono pronunciamenti che aprono la partita del riconoscimento dei diritti previdenziali e infatti l’Inps è ormai chiamato da vari Tribunali, in tutta Italia, direttamente in giudizio.
Due riflessioni o, per così dire, a valle di quel che ho detto sinora e chiudo. Voglio precisare la mia è una posizione personale, e non impegna l’intero collegio di difesa dei magistrati onorari di cui faccio parte.
La prima riguarda il contenzioso in atto e la questione del giudice competente: la scelta che si è fatta originariamente di rivolgerci al giudice del lavoro per il riconoscimento della condizione di lavoratore subordinato e dei trattamenti connessi, si sta rilevando valida ed efficace e ben compresa dalle pronunce che ho citato (trib. di Napoli e Vicenza): è sufficiente leggerne le ampie motivazioni.
La domanda di giustizia contenuta nei nostri ricorsi non ha riguardato il riconoscimento dello status di magistrato togato e il relativo trattamento di carriera; non è una domanda tesa allo inserimento nel ruolo della magistratura togata, ma neppure di parificazione delle carriere. La domanda è volta, invece, a riconoscere la condizione di lavoratore subordinato del magistrato onorario presso la pubblica amministrazione e un trattamento parametrato a quello del magistrato professionale, secondo quanto ci dice la Corte di giustizia, e recepito dai tribunali di Napoli e di Vicenza .
Reputo l’azione presso il Tribunale del lavoro sicuramente più satisfattiva della mera domanda di risarcimento per danni comunitari, presso il Tribunale civile di Roma, che pur ha ricevuto un importante recente riconoscimento (Trib. Roma, sez. II civ., 13 gennaio 2021), che può essere rivolta solo al passato, non è pienamente riparatoria e, comunque, potrà avere soltanto una funzione eventualmente integrativa rispetto a quella principale, di riconoscimento della condizione di lavoratore subordinato, davanti al giudice naturale che, secondo me, per quel che ho detto, non può che essere il giudice del lavoro.
Quel che ho esposto, ed è la seconda conclusione a cui voglio arrivare, può funzionare anche come linea guida della riforma in discussione in Parlamento. Potrà costituire una stella polare della futura regolamentazione soltanto se si esce fuori dal caos concettuale e dal ginepraio regolativo che invece, parlamentari poco esperti e tecnici in mala fede, rischiano di accentuare. La chiave di soluzione legislativa della situazione della magistratura ausiliaria sta nel tenere distinta la funzione e la condizione di lavoro della categoria, e la relativa regolamentazione, dalla carriera della magistratura togata.
Ma proprio per far questo occorre partire da quel che negano i regolatori attuali: vale a dire un adeguato riconoscimento normativo della condizione di lavoratore di tale magistrato, attraverso una corretta individuazione delle fonti della regolamentazione di dettaglio (secondo me la legge ma anche e soprattutto il contratto collettivo).
Se il legislatore non dovesse farsi carico, ragionevolmente, di una simile soluzione riformatrice (e le soluzioni tecniche possono essere diverse, le ho indicate nell’articolo citato prima) la parola non potrà che ritornare ai giudici e ai Tribunali attualmente investiti della vicenda”.
[1] S. B. Caruso – G. Minutoli, Cui prodest? La riforma della magistratura onoraria tra tutela di diritti negati ed efficienza della Giustizia, in Giustizia insieme, https://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1376-cui-prodest-la-riforma-della-magistratura-onoraria-tra-tutela-di-diritti-negati-ed-efficienza-della-giustizia.
Studio legale Labour & Public – Prof. Avv. Sebastiano Bruno Caruso – Prof. Avv. Antonio Lo Faro – Prof. Avv. Loredana Zappalà