Il trattamento fiscale applicabile alle retribuzioni erogate al lavoratore distaccato all’estero
Risposta a interpello dell’Agenzia delle entrate del 12 settembre 2023, n. 428/E
Nel caso di recente sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate, una società italiana, parte di gruppo multinazionale, nel 2022 ha distaccato un dirigente presso la consociata tedesca in cui lo stesso assume la carica di amministratore delegato. Sebbene la sede di lavoro principale fosse in Germania, nel 2022, sempre nell’interesse della società distaccataria, il dirigente distaccato ha fatto trasferte occasionali in vari paesi, tra cui l’Italia.
Giova preliminarmente inquadrare la normativa fiscale applicabile in caso di distacco del lavoratore all’estero. Ebbene, in deroga alla normativa applicabile in via ordinaria ai redditi da lavoro dipendente, posto il rispetto di talune condizioni e requisiti come precisati di seguito, il reddito di lavoro dipendente in caso di distacco all’estero è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’art. 4, comma 1, del d.l. 31 luglio 1987, n. 317, convertito dalla l. 3 ottobre 1987, n. 398 (art. 51, comma 8-bis, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, di seguito “TUIR“).
Tale regime fiscale prevede l’applicazione dei valori imponibili forfettari indicati nel decreto ministeriale, determinati per livello di inquadramento del lavoratore e per settore economico di appartenenza, senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore, consentendo la deroga al criterio di determinazione analitica della base imponibile del reddito di lavoro dipendente. Tali retribuzioni convenzionali sono fissate entro il 31 gennaio di ogni anno e determinate in misura non inferiore al trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei (art. 4 del d.l. 31 luglio 1987, n. 317).
Come anticipato sopra, la disciplina fiscale di cui all’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR trova applicazione posto il rispetto di talune condizioni.
In primo luogo, il lavoratore, operante all’estero, deve essere inquadrato in una delle categorie indicate dal citato decreto ministeriale che ne fissa la retribuzione convenzionale. Di talché, la mancata previsione, all’interno del decreto ministeriale, del settore economico oggetto di prestazione dell’attività lavorativa da parte del dipendente costituisce motivo ostativo all’applicazione del regime derogatorio in commento (Circolare 13 maggio 2011, n. 20/E, risposta 5.6).
In secondo luogo, l’attività lavorativa svolta all’estero deve costituire l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere integralmente svolta all’estero. Come chiarito dal Ministero delle Finanze con la Circolare 16 novembre 2000, n. 207, è necessario che venga stipulato uno specifico accordo che preveda l’esecuzione della prestazione all’estero come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e che il dipendente sia collocato in un ruolo speciale esterno, non necessario quando il rapporto lavorativo si instaura direttamente con la società estera.
In terzo luogo, l’attività lavorativa deve essere svolta all’estero con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità.
In quarto ed ultimo luogo, il lavoratore nell’arco di dodici mesi deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni. Come precisato dall’Agenzia delle entrate, l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere integralmente svolta all’estero (Risoluzione 11 settembre 2007, n. 245/E; Risposta a interpello 12 settembre 2023, n. 428/E). A titolo esemplificativo, non si applica pertanto ai dipendenti in trasferta all’estero, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero, derivante da un contratto specifico.
Con riferimento a tale ultima condizione e, più in dettaglio, al computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, come chiarito nella Circolare n. 207 del 2000 e da ultimo ribadito con la risposta a interpello in commento, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente, infatti, che il lavoratore presti la propria opera all’estero per più di 183 giorni nell’arco di dodici mesi. Il legislatore con l’espressione “nell’arco di dodici mesi” non ha inteso far riferimento al periodo d’imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari. In particolare, è stato precisato che qualora il contratto preveda la permanenza all’estero per un periodo superiore a 183 giorni il sostituto d’imposta applica la tassazione prevista dall’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR a partire dalla prima retribuzione erogata, salvo rettifica da effettuare in sede di conguaglio qualora vengano meno le condizioni richieste per l’applicazione del regime di cui alla disposizione da ultimo citata (Cfr. Circolare 26 gennaio 2001, n. 7/E). Ad ogni modo, come anche ribadito di recente dall’Agenzia delle entrate, per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi (Risposta a interpello 12 settembre 2023, n. 428/E; Circolare 23 maggio 2017, n. 17/E).
Infine, secondo la recente risposta a interpello fornita dall’Agenzia delle entrate, la quale ha preso in analisi quanto rappresentato nell’ambito del contratto disciplinante specificamente lo svolgimento della prestazione di lavoro in distacco presso la consociata tedesca, nonostante il lavoratore effettui anche trasferte di lavoro occasionali in paesi diversi dalla Germania per esigenze aziendali e nell’esclusivo interesse della consociata distaccataria tedesca, tale circostanza non fa venir meno il carattere di esclusività e di continuità del rapporto di lavoro presso una società estera. Pertanto, tale circostanza, unitamente al rispetto di tutte le atre condizioni previste dalla normativa in commento, consente comunque la determinazione del reddito con il meccanismo della retribuzione convenzionale di cui all’art. 51, comma 8-bis del TUIR, in deroga all’ordinario criterio di determinazione analitica della base imponibile del reddito di lavoro dipendente.